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I bambini di Aleppo

Testo di di Gigliola Foschi
Teneri bambini biondi, castani e mori, che ci guardano dritto negli occhi. Tutti sono stati ritratti da Elena Givone mentre stringono tra le mani un magico coniglietto luminoso, cui affidare i loro piccoli e grandi sogni, spesso simili a quelli di tutti i bambini del mondo: potersi gustare un bel gelato o una golosa tavoletta di cioccolata, diventare una sarta o un dottore, andare al mare o avere un dinosauro… Molti di loro, però, hanno un sogno “diverso” e più importante: avere una casa per sé e la propria famiglia. Questi bambini, infatti, la casa l’hanno persa, e assieme ad essa il proprio paese e la propria città: Aleppo. Là dove si trovava il suq più affascinante di tutto il Medio Oriente ora rimangono quasi solo rovine; là dove sorgevano grandiose moschee e decine di affollate chiese cristiane, luoghi deserti e macerie. Sì, perché Aleppo, storica capitale del nord della Siria lungo la via della seta, è (o forse era) la terza principale città cristiana del mondo arabo (dopo Beirut e Il Cairo).
Elena Givone ha fotografato questi innocenti bambini sfuggiti alla guerra nelle tende provvisorie del campo profughi di Ritzona (dintorni di Atene), senza nascondere il luogo precario in cui ora sopravvivono, ma senza neppure metterne drammaticamente in primo piano le carenze. Per lei infatti fotografare non significa solo documentare e raccontare una situazione, ma mettersi personalmente in gioco, costruire giorno dopo giorno un rapporto basato sull’ascolto e la relazione; significa ridare voce a un’umanità cui è stata tolta la parola, un volto e un nome a persone che spesso ci limitiamo a “etichettare” senza sapere nulla di loro, della loro storia, delle loro speranze. Lontane dal reportage tradizionale, le sue immagini spezzano l’abituale meccanismo che ci lascia semplici spettatori di una realtà a noi estranea, per avvicinarci alla vita e ai semplici desideri di Layla (8 anni), della sorridente Hzar, della vivace Maram che sogna di raggiungere e riabbracciare suo padre in Svizzera, del tenero Masrud, dello smarrito Nagiah dalla bella frangetta bionda… “Il mio sogno è tenere vivi i vostri sogni”: è il motto di questa autrice, per la quale la fotografia si fa dono di un momento di speranza, comprensione e vicinanza. Una speranza che lei offre loro, invitandoli a coltivarla, a tenerla viva, perché senza speranza in un futuro migliore questi bambini cresceranno nel risentimento, nella rabbia, nella frustrazione….
Ma i ritratti di Elena Givone non sono costituiti dalla sola immagine: riportano anche il nome, l’età e il desiderio di ogni bambino fotografato, a testimonianza di come per lei fotografare una persona faccia parte di un lungo processo di relazione e conoscenza reciproca. E proprio per questo, accanto ai ritratti, sono esposti in mostra anche varie immagini che lei ha scattato durante la sua permanenza nel campo profughi; e pure i disegni – da lei stessa stimolati – in cui i bambini raccontano le loro paure della guerra, la loro fuga via mare… In altri termini, la sua opera non si limita ai soli ritratti: è piuttosto il racconto del percorso che l’ha portata a condividere i sogni, i dolori e le speranze di chi ha ritratto, incontrato e conosciuto, per offrire a tutti loro un momento di leggerezza, lontano dalle preoccupazioni e dai dolori della realtà.
Il progetto I bambini di Aleppo è stato reso possibile grazie alla onlus inglese “rafi+friends”, che ha prodotto il libro per bambini Rafi. The refugee rabbit, di Pauline Spearpoint. Tale libro racconta la storia di “Rafi”, un coniglietto giunto con il padre in luoghi sicuri, dopo essere fuggito dalla guerra. E infatti i bambini ritratti da Elena Givone tengono in mano proprio Rafi, affinché questo coniglietto, simbolo di speranza, li guidi, almeno con la fantasia, verso la pace.

In collaborazione con la onlus rafi+friends



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